La psicologia è quella scienza che si occupa di indagare tutti i processi sociali, cognitivi, emotivi e comportamentali che afferiscono alla sfera dell’umano. Il metodo messo in atto può essere scientifico ma molto spesso la prospettiva su cui si poggia è di tipo soggettivo e intrapersonale. Ad oggi sono molte le materie che fanno parte di un programma di una laurea in psicologia, a prescindere che si tratti di un corso all’interno di un’università considerata tradizionale come la Sapienza oppure di un centro prevalentemente online, come Unicusano: il punto di partenza è certamente la psicologia generale, ma da questa si arriva ad altre specializzazioni come la psicologia dello sviluppo, quella del lavoro, della personalità, della percezione e così via. L’uomo può essere studiato sotto una varietà di aspetti talmente ampia che è impossibile delineare un elenco di autori o titoli da definirsi imprescindibile. Tutto dipende dall’ambito di interesse del singolo studente o appassionato della materia.
Quel che è certo, però, è l’esistenza di alcuni autori che più di altri vengono considerati dei capisaldi della disciplina, anche se il loro pensiero può essere considerato a tratti superato. Rientra certamente in questa ristretta cerchia Sigmund Freud, considerato il padre della psicanalisi e tra le menti più illuminate del XX secolo. Egli ha pubblicato un gran numero di volumi, in questa circostanza se ne evidenziano solo alcuni: “L’introduzione alla psicanalisi”, “Totem e tabù”, “L’interpretazione dei sogni” e “Psicopatologia della vita quotidiana”.
Un intellettuale altrettanto centrale nella storia della psicologia è stato senza dubbio Carl Gustav Jung, considerato il padre della psicologia analitica. Jung e Freud collaborarono attivamente per svariati anni e la corrispondenza tra loro è stimata in circa 359 lettere complessive. La rottura tra i due, tanto sul piano professionale quanto su quello amicale, avvenne a causa del rifiuto di Jung di condividere una delle tesi considerate chiave da Freud, vale a dire la credenza in base alla quale era l’istinto sessuale alla base del comportamento psichico degli individui. Senza però addentrarci maggiormente nella diatriba storico-psicologica, tra i libri firmati da Jung è impossibile non citare “Psicologia e alchimia”, divenuto ormai un classico.
Passando invece ad un’epoca molto più contemporanea, si evidenziano ora libri considerati capisaldi della psicologia e che si trovano abitualmente negli scaffali delle librerie, tanto che anche un pubblico non esperto può avvicinarsi alla loro lettura. Il primo tra questi è senza dubbio Intelligenza emotiva di Daniel Goleman, in cui l’autore unisce il fattore intelligenza ad una serie di altri aspetti come autocontrollo, empatia, attenzione per e verso gli altri. Tutti elementi che, uniti insieme, vanno a costituire globalmente la cosiddetta intelligenza emotiva, che dà il nome al suo libro di maggior successo.
Daniel Kahneman si è invece soffermato sul concetto in base al quale la mente sia espressione di due differenti tipologie di pensiero. La prima rimanda al mondo razionale mentre la seconda segue la corrente del pensiero intuitivo. Se quella razionale è certamente quella più sequenziale e controllabile, nel secondo caso subentra l’automatismo e la velocità, con comportamenti che sono difficili da controllare. L’autore, all’interno di “Pensieri lenti e veloci”, porta alla luce e studia nel dettaglio il processo decisionale rendendolo una commistione dei due elementi sopra citati.
Ci si discosta ora dalla psicologia in senso puro per approdare ad un uso declinato alla politica. Rientra in questo ambito l’opera magistrale di Gustave Le Bon intitolata “Psicologia delle folle”. In questo piccolo volume l’autore tenta di indagare le masse (intese come insieme di persone) all’interno della società contemporanea (egli ha pubblicato il suo volume nel 1895, prima dell’avvento dei totalitarismi). Le Bon evidenzia come l’accezione della massa non sia positiva o negativa ma possa essere considerata ambivalente: se da un lato poteva essere considerata come una forza distruttrice, dall’altro era espressione di un sentimento collettivo. Va però specificato come, nei fatti, l’autore francese utilizza spesso aggettivi negativi accostati alla massa: pur definendola ambivalente, nel concreto viene anche definita come priva di controllo e soprattutto irrazionale.
Approdando invece ad un’epoca strettamente più contemporanea, può essere interessante citare il volume intitolato “L’arte di buttare” scritto da Nagisa Tatsumi. Il tema dell’eliminazione del superfluo è sempre più spesso centrale nella concezione odierna di società: questo vale sia per gli oggetti, e di conseguenza il pensiero va alle proprie case ad esempio, ma è un discorso che può essere applicato anche al concetto di vita in senso ampio. Il libro, edito nel 2000, prende avvio in maniera ironica da quello che è considerato il primo step per ogni accumulatore seriale: “per adesso metto da parte, chissà”. Il primo meccanismo, secondo l’autrice, che si deve sradicare è perciò il temporeggiamento. Il tema relativo all’incapacità di saper buttare via un oggetto piuttosto che un altro si lega a doppio filo con l’ambito psicologico, tanto da aver conquistato una denominazione ben precisa: la disposofobia. Letteralmente si intende il disturbo da accumulo e dal 2013 viene inserita all’interno del gruppo di problematiche legate ai disturbi ossessivo-compulsivi.